Nel 1981 moltissimi spazi, tra indipendenti e istituzionali, si aprono al linguaggio del writing: il Mud Club, che vide il duo Keith Haring – Kenny Scharf impegnato nell’organizzazione della mostra “drawing show”, in uno spazio in cui solitamente si svolgevano concerti new wave; la galleria Fashion Moda; la galleria di Tony Shafrazy (noto fra l’altro per aver scritto a spray, nel 1974, “LIES KILL ALL” su Guernica di Picasso); la Fun Gallery di Patti Astor a Soho, che organizzò la prima mostra di Rammelzee, “Ikonoclast Panzerism”.
Dopo Documenta 7 del 1982, curata da Rudi Fuchs, durante la quale venne presentata la galleria Fashion Moda, molte gallerie in Europa iniziarono a interessarsi ai writer.
Durante la VI Settimana della Performance a Bologna Francesca Alinovi (insieme a Barilli, Daolio e Mango) organizza “Telepazzia”, la prima manifestazione in Italia sui graffiti: era il 1982 e la Alinovi, che sarebbe tragicamente morta l’anno successivo in circostanze misteriose, dimostrò una precoce attenzione curatoriale verso il mondo dei graffiti.
A proposito del passaggio dai tunnel della metro alle gallerie d’arte, Craig Castleman, tra i primi accademici a occuparsi del fenomeno, racconta tristemente il party organizzato dal gallerista di Lee Quinones per il suo ingresso nel mondo dell’arte. “tele di Lee erano appese su ogni muro, sembravano un po’ fuori posto tra colonne di marmo, candelieri di cristallo e statue greche” […] “Il gallerista annunciò (…) che Lee avrebbe realizzato un masterpiece solo per loro. (…) Lee era chiaramente imbarazzato, “he was frozen to the spot”. (…) Il gallerista disse, sottovoce, che Lee avrebbe dovuto dipingere o la sua carriera sarebbe terminata. (…) Io me ne andai, velocemente, sentendomi sporco. Lee rimase. Non sentii più parlare di lui.”.
Il contesto, infatti, è fondamentale per il graffiti writing. Esporre le opere in una galleria, dipingere in uno spazio chiuso, su commissione, diminuisce l’opera (se di opera si può parlare) e ne annulla i presupposti. L’illegalità, il rischio, l’azione, lo spaesamento provocato dal vedere un treno disegnato, anziché pulito, sono parti integranti e fondamentali del messaggio dei graffiti.
“Quella sensazione di dipingere sui treni” dice Phase 2, uno dei pionieri del movimento, “non la puoi ricreare. È tutta un’altra storia. Non voglio dire che è l’adrenalina che ti entra in circolo, ma uno che disegna coi gessetti sui cartelloni neri della pubblicità non si assume gli stessi rischi di uno che entra nei depositi”.