Questo momento segnò, naturalmente, un radicale cambiamento di prospettiva per molti writer che iniziarono a sentirsi qualcosa di più che semplici vandali: l’etichetta che venne utilizzata da quel momento in poi fu “graffiti artist”, categoria che fece storcere il naso a molti puristi.
Naturalmente, se quelle forme e quei colori, riportati su tela, avevano un mercato, parte del merito era di tutta la scena, di coloro che avevano portato alla luce il movimento dipingendo sui treni: gente come Super Kool, insomma, che aveva realizzato il primo pezzo vero e proprio su una carrozza della metropolitana solo un anno prima, nel 1972.
Moltissimi writer uscirono presto dalla UGA: alcuni non erano in grado, su carta o su tela, di esprimere quella creatività che invece gli veniva spontanea nei depositi ferroviari, mentre altri ritenevano che esporre le proprie lettere e i propri nomi in un ambiente chiuso e sterile snaturasse il loro lavoro.
Stefan Eins, direttore di una delle prime gallerie (Fashion Moda, nel Bronx) a occuparsi seriamente della commercializzazione dei graffiti, avrebbe dichiarato nel 1979 che “Nel Bronx vedi crescere assieme piante e fili elettrici, animali e carcasse di automobili, uomini e tecnologie. Per questo vivere nel Bronx è eccitante, perché ritrovi forze vergini vivendo accanto a comunità di non acculturati nel senso tradizionale del termine, in un ambiente terzomondista che si è rifatto natura a dieci minuti dal cuore di Manhattan”.
Graffiti Writing, Haring, Basquiat
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