Testo apparso in
– Elena Del Drago e al., Arte Contemporanea (Quattro: Anni Ottanta), Electa, 2008 (pag.86-93)
– – Elena del Drago e al., Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, Electa, Milano 2008
Graffiti writing, Haring, Basquiat
Non si tratta di una corrente artistica e non si chiamano nemmeno graffiti: nessun writer, tra l’inizio degli anni Settanta e la fine degli Ottanta, avrebbe definito la propria attività con quel termine (introdotto dai media con un senso spregiativo) e solo pochi, pochissimi manifestarono un vero intento artistico.
“Writers”, scrittori, era questa la definizione che usavano per loro stessi tutti quei ragazzi (erano centinaia) neri, portoricani o semplicemente newyorkesi che accettarono la sfida di scegliere un nome di fantasia (una firma, una tag) e scriverlo con uno stile migliore degli altri, tanto spesso da cambiare per sempre il volto della città.
Per diversi anni il fenomeno rimase confinato a quella ristretta cerchia di adepti (avevano nomignoli come Julio 204 o Taki 183) che aveva deciso di essere presente “all over”, in tutti e cinque i quartieri della città, segnalando il proprio passaggio con uno stile (calli)grafico personale e originale.
Esattamente come i cartelloni pubblicitari che, per carpire un istante di attenzione in una giungla di segni, devono diventare sempre più grandi e addirittura muoversi, le firme dei writer crebbero in numero e dimensione e trovarono come supporto più adeguato le carrozze della metropolitana di New York.
La subway infatti trasportava i pezzi (così i writer chiamavano le loro opere più grandi, “pieces”) da un quartiere all’altro, trasformando il sistema di trasporti in un rudimentale strumento di comunicazione: le loro linee preferite erano la 5 e la 2, che compivano un viaggio di circa quattro ore dal Bronx a Brooklyn e rendevano i loro nomi famosi in tutta la città. Il mondo dei writer è sempre stato completamente autoreferenziale: lo stile delle lettere evolvette presto verso l’illeggibilità, il wildstyle, le lettere ornate da frecce e barre in modo così barocco da risultare comprensibili solo agli altri writer.
Si trattava di un’intera sottocultura che girava intorno al culto del nome, al vandalismo e all’occupazione dello spazio pubblico come mezzo per attirare l’attenzione, allo stile calligrafico come modalità espressiva per differenziarsi dagli altri writer e, infine, alla competizione serrata basata su parametri assolutamente non-artistici, come la quantità, la dimensione dei pezzi, la ripetizione ossessiva della propria firma e, da ultimo, il possesso di uno stile personale.