Quello che penso io del writing, aggiornato a sabato 21 marzo 2009 alle cinque del pomeriggio

Testo apparso in A. Barbieri e al., Come ti viene in mente di fare i graffiti, stampato in proprio, 2009

Quello che penso io del writing, aggiornato a sabato 21 marzo 2009 alle cinque del pomeriggio

I graffiti esistono da quarant’anni.
I writer non li chiamano nemmeno graffiti: qui da noi, in Italia, li si chiama pezzi e la pratica di scrivere sui muri è chiamata semplicemente writing (dal termine inglese scrivere, naturalmente).
Eppure, nonostante i graffiti esistano da quarant’anni (sui libri d’arte, in tv, sugli zainetti, sul dentifricio e addirittura nel frigo, quasi) le persone continuano a chiedere da dove vengono i graffiti, perché sono così brutti, come mai sono ovunque e cosa c’è dietro.
La risposta è semplice: vengono dagli States, come Beautiful, la Coca Cola e Terminator. Ma, a differenza di Beautiful e Terminator, sembrano piuttosto coriacei: non hanno intenzione di scomparire nel giro di pochi anni. La leggenda dice che i primi writer fossero di Philadelphia e che avessero iniziato a scrivere il proprio nome alla fine degli anni Sessanta, in un contesto urbano in cui la pubblicità tendeva a dissolvere lo spazio pubblico e a comprimere l’identità individuale. New York ne rivendica la paternità con prepotenza, nonostante, nel 2006, il municipio spendesse più di cinque milioni di dollari l’anno per combattere il fenomeno.
Effettivamente il writing, come lo conosciamo oggi, si è sviluppato sui treni della grande mela, dove i nomi dei ragazzi delle periferie sono apparsi e si sono diffusi con un vigore inarrestabile, sempre più grandi, sempre più colorati, per passare a invadere i muri, i cavalcavia, gli autobus della città e poi di tutto il mondo.
Più che una tecnica (l’utilizzo dello spray) e uno stile, ciò che ha contagiato il pianeta è la potenza di un’idea: scrivere il proprio nome. È la base ed è alla portata di tutti: è la prima cosa che impariamo a scrivere. Simboleggia noi stessi. Scriverlo in giro significa “sono stato qui”: in una città enorme può essere un segno di vita importantissimo. È un’idea semplice e potentissima: i graffiti hanno cambiato forma mille volte, ma l’idea di base rimane ferma e inattaccabile – finchè ci saranno metropoli e ci saranno adolescenti, ci sarà qualcuno che scrive il suo nome, da Tokio a Rio a Bassano del Grappa.
Se il nome ha dato il via al gioco, lo stile ha innescato la bomba della competizione: qualcuno ha detto che il writing è una guerra di stili, per chi scrive meglio, con una calligrafia migliore, con una colorazione più coerente, nel posto più inaccessibile, con gli strumenti più strani.

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