Articolo apparso in origine su Verdeamarelo #3, 2007
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Passeggiando in città, la pubblicità accompagna ogni nostro movimento: siamo bombardati da più di tremila messaggi al giorno, tra cartelloni, insegne, adesivi. E ancora di più a San Paolo dove, come abbiamo visto nello scorso numero, le onnipresenti firme dei pixadores costituiscono un’implicita risposta al sovraccarico pubblicitario.
Quasi ovunque, le agenzie pubblicitarie hanno saturato tutto lo spazio a loro disposizione (superfici verticali, fiancate dei mezzi pubblici, fermate della metropolitana) e, da qualche anno, cercano di accaparrarsi tutte le superfici residue: i pali della luce, i semafori, l’asfalto, i tunnel del metrò e addirittura il pavimento delle stazioni ferroviarie scompaiono sotto un’infernale accozzaglia di grandi poster, irremovibili adesivi, smodati manifesti e giganteschi banneroni.
Un boccone alla volta lo spazio pubblico viene eroso da quello privato e commerciale e soccombe all’invasione dell’advertising: i pubblicitari, dal canto loro, dicono che la pubblicità allevierebbe la nostra noia di vivere, costituirebbe addirittura un punto di riferimento in città, senza il quale ci sarebbe difficile orientarci.
Cosa succederebbe se, con un colpo di spugna, questa giungla di segni venisse eliminata? Di certo il comune di Milano non lo vuole sapere: nelle sue casse affluiscono 32 milioni di euro all’anno grazie alle affissioni pubblicitarie e si tratta comunque di un magro bottino, se si pensa allo sterminato pubblico costretto a sciropparsele.
Gilberto Kassabs, il conservatore sindaco di Sao Paolo, la quarta metropoli più grande al mondo, la pensa in maniera radicalmente diversa: la pubblicità, dice, è inquinamento visivo e imbruttisce le strutture, è invadente e dà fastidio. Quindi, deve sparire.
Con la “Clean city law” [Lei Cidade Limpa], la legge della città pulita, Kassabs decise che, dal primo gennaio 2007, tutte le affissioni pubblicitarie della città dovessero essere staccate dai cartelloni. E non solo quelle: rimosse le pubblicità dai mezzi pubblici, distrutti i volantini, sradicati poster, puliti i treni e ridimensionate tutte le insegne dei negozi.
L’iniziativa, la prima di questo genere varata in un regime non-comunista, è a dir poco audace, soprattutto per l’odierna società basata sul consumo, nella quale la pubblicità sembra essere lo scheletro portante di tante attività economiche.
Le prime vibranti proteste non si sono fatte attendere: gli amministratori delegati delle maggiori aziende pubblicitarie hanno inscenato una paradossale manifestazione, girando intorno al municipio a bordo delle loro lussuose automobili. Clear Channel, nuovo attore nel mercato pubblicitario brasiliano, ha tentato una campagna, in realtà un po’ goffa, a difesa dei propri servizi, intitolata “Outdoor media is culture”.
L’amministrazione comunale procede a testa bassa, sicura di avere la cittadinanza dalla sua: si tratta di una lotta contro tutte le forme di inquinamento (dell’aria, dell’acqua, sonoro e visivo) e questa campagna contro quello che è più evidente è solo l’inizio, sostiene Kassabs, mentre firma otto milioni di dollari di multe per affissione abusiva.
Spogliata dagli enormi cartelloni pubblicitari, la metropoli offre infinite scoperte agli occhi dei suoi abitanti: antiche strutture architettoniche, occultate per anni dalla pubblicità di un detersivo, ritornano alla luce. Interi quartieri poveri, in cui gli abitanti ospitavano costruzioni pubblicitarie immense in cambio di pochi dollari, vengono rimessi a nudo. Quella che emerge è una città completamente diversa, ancora disseminata dagli scheletri dei cartelloni: le agenzie infatti, prima di smantellare le strutture, vogliono aspettare di capire se la legge sarà veramente fatta valere e se le multe di 4.500$ al giorno saranno realmente inviate ai trasgressori.
Cosa avverrà in futuro? Lo stesso consiglio comunale ammette che, in alcuni casi, la pubblicità è necessaria e andrà reinserita, seppur gradualmente, senza eccessi e con un maggior rispetto dell’ambiente. Le agenzie pubblicitarie, dal canto loro, si stanno organizzando per trovare soluzioni creative e compatibili con le nuove norme: solo le società più grandi, dicono, avranno fondi a sufficienza per acquistare i pochissimi spazi residui concessi dal comune. La “Clean city law” penalizzerebbe dunque le imprese più piccole a discapito delle solite multinazionali.
L’unico modo per sapere come andrà a finire è aspettare, insieme agli undici milioni di persone che abitano San Paolo, tra gang, criminalità e inquinamento, a cui però fa da sfondo una città rinnovata.