Ho scritto quest’introduzione al libro di Stefano Mirti, Il mondo nuovo. Guida tascabile #design #socialmedia #alterazioni
“Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire valorosamente. La specializzazione va bene per gli insetti.” (Robert A. Heinlein)
Il mio lavoro consiste nell’aiutare le aziende a comunicare online.
Certamente esistono professioni più sexy: l’astronauta, il broker, l’architetto.
Tuttavia, si tratta di un’attività curiosa e per certi versi addirittura interessante.
Prima di tutto perchè è un’attività che, fino a pochi anni fa, non esisteva. Vi faccio un esempio: buona parte del mio lavoro passa da Twitter, un social network che ha aperto solo nel 2006 (e ci ha messo qualche anno per diffondersi).
Nel mio settore, l’esperto più anziano lavora da sette anni (un altro modo per dire che non esistono esperti). Per contro, le piattaforme su cui lavoro cambiano così velocemente che, anche se esistessero esperti, dopo pochi mesi le loro conoscenze sarebbero obsolete.
La comunicazione online è un tema volatile, etereo, cangiante: costringe a un continuo aggiornamento e a un discreto lavorìo mentale. Non si tratta di argomenti che si possono imparare, una volta per tutte, in un libro o all’università: per riuscire a far funzionare le cose sono molto più importanti il ragionamento e il buon senso.
Tutti i giorni mi chiedo a cosa serva la mia consulenza: perché i miei clienti non riescono a farlo da soli?
A scuola, nessuno ci insegna a essere curiosi nè a creare delle relazioni. Ma in questo momento queste sono due capacità fondamentali per sopravvivere in un contesto che cambia molto velocemente.
In un periodo di transizione, quale quello attuale, in cui gli strumenti per comunicare cambiano più velocemente degli utilizzatori finali, le aziende fanno fatica ad adattarsi pur intuendone le potenzialità.
La colpa non può essere dei social network: sono pensati in modo da poter essere utilizzati da un quattordicenne (e di fatti i quattordicenni ne usano in abbondanza, ma non usano gli stessi dei loro genitori). Non si tratta nemmeno di una questione anagrafica: l’inettitudine verso il digitale è diffusa a prescindere dall’età.
La mia curiosità sui social-scettici e i tecno-impediti mi ha portato a una più attenta analisi: sono ovunque. Raffinati redattori di importanti case editrici che rifiutano di avere un account su Facebook. Direttori marketing che hanno paura dei commenti negativi sui prodotti delle loro aziende. Curatori museali che bollano il web, tout court, come una perdita di tempo. Stimati professionisti che rifiutano di usare internet per tenersi aggiornati. Senza contare i candidati stagisti che ammettono candidamente di non leggere blog, di non possedere un profilo su Linkedin, di non avere internet a casa.
Da cosa dipende questa pigrizia mentale, questo neo-luddismo che impedisce alle persone di sfruttare questi strumenti? Temo che al principio di tutto ci sia la scuola, intesa come luogo di formazione e apprendimento.
La formazione accademica ci insegna ad approfondire un singolo argomento in modo verticale e specialistico, fino a diventarne esperti. Temo che, da solo, questo approccio sia obsoleto e dannoso. Quello di cui abbiamo bisogno è essere capaci di cercare e saper tracciare delle connessioni. Fare collegamenti critici tra gli argomenti o collegamenti tra le persone. Non c’è differenza tra virtuale e reale: i legami che stringiamo online non sono diversi da quelli “In Real Life”.
Immagino che questi concetti possano sembrare banali. Io ci ho messo molto a capirli, perchè il mondo in cui sono cresciuto non era così.
Quando sono nato io, internet non c’era. Ma per fortuna quelli come me sono in estinzione.